Le sei sonate comprese in questo album sono state composte da Mozart nell’ultimo decennio della sua vita, tra il 1782 e il 1789. Ci troviamo di fronte a sei capolavori che consentono di addentrarci nell’universo mozartiano, scoprendone nuove sfaccettature. Ciò vale non solo per la Sonata in do minore K 457, di gran lunga la più tragica e moderna, ma anche per le altre, apparentemente più “disimpegnate”: anche laddove agisce per sottrazione, Mozart raggiunge un livello di profondità pressoché impareggiabile. A completamento del ciclo delle 18 sonate, sono qui incluse anche la Fantasia K 475, che Mozart pubblicò in dittico con la Sonata K 457, e il Sonatensatz K 312 in sol minore: il più articolato e interessante tra i frammenti di sonata che Mozart ci ha lasciato.
La Sonata K 333 è stata composta presumibilmente alla fine del 1782. Caratterizzata da un lirismo fluido e privo di sbalzi ritmici, è tuttavia ricca di contrasti emotivi. I tre movimenti condividono numerosi elementi tematici e sono tutti in forma sonata, anche se per il terzo è più appropriato parlare di Rondò-Sonata. Il primo tema dell’Allegro è caratterizzato da appoggiature sul battere delle prime quattro battute, ciascuna su una diversa armonia. L’inatteso passaggio al secondo grado (do minore) nella battuta 2 subito contraddice la serenità iniziale, aggiungendo nuove sfumature emotive. Il secondo tema, dal carattere nobile, è a sua volta costellato di appoggiature e ampi salti melodici. Lo sviluppo si apre con il primo inciso, subito deviando verso altre armonie con repentini cambi di registro e movimenti cromatici del basso. Anche l’Andante cantabile si basa sulla concatenazione di varie appoggiature melodiche, presenti sia nel primo che nel secondo tema. Nello sviluppo il dramma sinora latente diventa esplicito. Il primo tema si ripresenta con intervalli invertiti e con molte più dissonanze, quasi fosse riflesso in uno specchio deformante. Anche la seconda idea tematica riappare qui trasfigurata e ben più drammatica, prima di ricondurre alla ripresa, attraverso una sospensione sulla settima di dominante. L’Allegretto grazioso presenta una scrittura tipica dei concerti per pianoforte e orchestra, con continue alternanze di “solo” e “tutti” e con una vera e propria cadenza solistica interamente scritta in partitura, poco prima della conclusione. Il carattere è generalmente giocoso. Spiazzante anche la Coda basata sul pedale di tonica, che conclude in modo umoristico e antiretorico.
Il dittico composto dalla Fantasia K 475 e dalla Sonata K 457 in do minore fu pubblicato da Artaria nel 1785. La Fantasia, composta successivamente rispetto alla Sonata, ha una struttura riconducibile a sei episodi, due dei quali sono forme chiuse: l’Aria in re maggiore e il Minuetto in si bemolle maggiore. Le note dell’incipit formano una serie cromatica quasi atonale, creando un senso di claustrofobico smarrimento. Il tema è raddoppiato in ottave senza un rivestimento armonico, assumendo così un colore scuro e misterioso. I bruschi contrasti dinamici e le pause nella seconda battuta contribuiscono a creare la tensione drammatica: più che di respiri, si tratta di vuoti abissi, di silenzi carichi di mistero, interrotti dai flebili sospiri nel registro acuto dello strumento. Dopo le varie e contrastanti sezioni intermedie, il tema iniziale tornerà ancora alla fine del brano, in un’atmosfera ancor più tragica. La Fantasia si conclude con una rapida scala ascendente di do minore che conduce con grande slancio alla Sonata K 457.
Il Molto Allegro si apre con un motivo ascendente in ottave vuote (l’archetipico “razzo di Mannheim”), alternato a una sospirante risposta nel registro acuto, con armonie cromatiche. Il secondo tema è invece di carattere più leggero e si dipana attraverso un dialogo tra soprano e tenore. Lo sviluppo raggiunge la massima tensione drammatica al termine di un concitato crescendo basato sulla reiterazione del primo inciso, che viene bruscamente interrotto da pause. Nel ritornello dello sviluppo trova posto, nella presente incisione, una breve cadenza improvvisata in cui riecheggiano frammenti già ascoltati nella Fantasia.
Di grande magia è il passaggio dall’atmosfera scura del primo tempo alla soave cantabilità dell’Adagio, in mi bemolle maggiore. Qui è evidente la derivazione vocalistica della scrittura, che ricalca fedelmente i moduli espressivi dell’opera italiana. Anche se in tonalità maggiore, questo Adagio è uno dei brani più nostalgici e struggenti di Mozart: i momenti felici suonano con una vaghezza che li dipinge lontani e ormai inarrivabili. La sezione centrale è in la bemolle maggiore, tonalità che, con l’accordatura inequabile usata nella presente incisione, suona come un “luogo sbagliato”, illusorio: un approdo precario, similmente a quanto accade nell’episodio in la bemolle maggiore dell’Adagio della Sonata K 280. Ancora più straniante è la successiva modulazione al sol bemolle maggiore, che qui sembra quasi dissonante, ad evidenziare l’estrema distanza dalla tonalità di impianto. Il terzo movimento è un Rondò di grande inquietudine e forza drammatica. Le improvvise accensioni dinamiche, gli sbalzi estremi di registro e i repentini, lunghi silenzi contribuiscono a mantenere la tensione sempre altissima, fino alla drastica conclusione.
La Sonata K 533 – K 494, completata a Vienna nel gennaio del 1788, è l’unica che porta due diversi numeri di catalogo: il 533 si riferisce al primo e al secondo movimento, mentre il 494 al terzo, che deriva dall’antecedente Rondò K 494 (1786). Questa è l’unica sonata di Mozart che inizia con una sola voce per le prime quattro battute. Solo con l’entrata della seconda voce alla mano sinistra si delinea un’identità armonica. Lo stesso procedimento viene reiterato subito dopo, quando il tema si ripresenta alla mano sinistra senza armonizzazione, affermando l’assoluta parità tra le due mani, cosa alquanto insolita per l’epoca. Il ponte modulante ripropone il primo tema in re minore e lo rielabora con procedimenti che lo fanno assomigliare ad un vero e proprio sviluppo. Seguono due “secondi temi”, di carattere contrastante, entrambi introdotti in una voce per volta. Nella ripresa Mozart introduce alcune inattese novità nella riproposizione dei temi, con vari inserti aggiuntivi. Sorprendente, in particolare, l’“incursione” del primo tema all’interno del secondo tema. Il secondo movimento, Andante, è anch’esso in forma sonata e insiste su aspre dissonanze, con numerosi rimandi ad elementi già ascoltati nel primo tempo. Il secondo tema, in terzine, suona come un duetto di violino e violoncello, e assume man mano maggiore tensione drammatica. Lo sviluppo intensifica gli elementi già ascoltati, raggiungendo l’apice nella perorazione con terze dissonanti, che suona di inusitata modernità. Il terzo movimento è un Rondò. Il tema iniziale sembra semplice, quasi naïf, ma la sua struttura metrica è alquanto complessa e asimmetrica. Le battute 143-169 sono state aggiunte da Mozart per integrarlo con gli altri movimenti della Sonata, dotandolo di una grande cadenza contrappuntistica. Qui l’inciso iniziale del Rondò (leggermente modificato) è riproposto nel registro grave, dal quale riparte per costruire una sorta di “grattacielo polifonico”, con ben dieci sovrapposizioni, dal grave all’acuto.
Mozart compose la Sonata K 545 nel 1788, ma la prima edizione uscì postuma nel 1805, con il titolo di “Sonata facile”. Il fine didattico è confermato dall’indicazione “für Anfänger” (per principianti) apposta nel suo catalogo autografo (Verzeichnüss). Ciò spiega l’elevata frequenza di passaggi utili per sviluppare la tecnica pianistica: scale, arpeggi e basso albertino, senza particolari complessità ritmiche o armoniche. Nonostante la sua apparente semplicità, il primo movimento cela alcune finezze tipiche di Mozart. Al termine del ponte modulante, ad esempio, l’entrata del secondo tema è preceduta da una battuta di trilli misurati di semicrome (similmente a quanto accade nella Sonata K 309), i quali “preparano il terreno” aumentando l’attesa con un movimento cromatico del basso. Il secondo tema, più giocoso del primo, ne presenta gli stessi intervalli, ma invertiti. Mozart usa del materiale convenzionale in modo non convenzionale, e lo fa anche nello sviluppo: qui infatti troviamo ancora scale e arpeggi, ma non vi è traccia dei due temi principali. Il discorso si dipana rielaborando l’elemento conclusivo dell’esposizione (ora in sol minore), alternato alle consuete scale. Un altro elemento inatteso appare nella ripresa, dove il primo tema torna in una tonalità “sbagliata”: non in do maggiore, bensì in fa maggiore, senza mai ricomparire nella tonalità di impianto. Il secondo movimento, basato su un semplice accompagnamento di basso albertino, presenta tuttavia una struttura piuttosto articolata, costituita da quattro sezioni (ABCA’, le prime due ritornellate), più una breve coda conclusiva. Il tema iniziale, dal candore quasi infantile, ritornerà anche nella seconda parte della sezione B. La terza sezione, in sol minore, è l’unica in cui il clima si adombra, assumendo toni più drammatici. Il lirismo lascia il posto al gioco nel terzo movimento (composto due anni prima, nel giugno del 1786), basato su bicordi di terza staccati, alternati a rapide scale. Le numerose appoggiature cromatiche danno lievi increspature alla generale linearità delle melodie. La struttura è quella di un semplice Rondò (ABACA-Coda), in cui però gli elementi B e C presentano elementi tematici derivati dal tema iniziale. Come negli altri due movimenti, nella sezione centrale è presente una modulazione al sol minore che causa un momentaneo adombramento. Il ritorno della sezione A avviene sempre mediante sospensioni sulla dominante, che lasciano all’interprete la possibilità di introdurre una breve cadenza improvvisata.
La Sonata K 570 fu composta nel 1789 e pubblicata postuma da Artaria (1796) ma, curiosamente, in una versione per pianoforte e violino obbligato. È peraltro assodato che la presenza del violino non sia stata prevista da Mozart, il quale nel suo catalogo tematico specifica “auf Clavier allein” (per pianoforte solo). Anche le poche pagine che rimangono del manoscritto originale confermano che si tratti di una sonata per pianoforte solo. Lo stile del tardo Mozart è qui rappresentato dall’uso di pochi elementi tematici e da una espressività essenziale, quasi scarna. Non troviamo la prolificità tematica della Sonata K 333 o della K 533 ed anche i contrasti sembrano attenuati, proiettati in un clima di maggiore astrazione.
L’Allegro, in tre quarti, inizia con un andamento simile a quello della Sonata K 332, ma qui il fraseggio è più statico e le prime quattro battute non hanno alcun rivestimento armonico, disegnando il tema con un semplice raddoppio in ottava. Il secondo tema inizia riproponendo il primo tema, che ora inaspettatamente ricompare alla mano sinistra. Su di esso la mano destra dipana il nuovo inciso, caratterizzato da staccati ribattuti e melodie cromatiche. Segue una intensificazione ritmica, con rapidi passaggi di semicrome che concludono brillantemente l’esposizione.
Lo sviluppo si apre con una improvvisa modulazione alla tonalità lontana di re bemolle maggiore. Qui il secondo tema riappare in varie tonalità (sol minore, do minore, fa minore), prima di condurre, senza particolari contrasti dinamici, alla ripresa.
L’Adagio, in mi bemolle maggiore, è in forma di Rondò, con una struttura complessa: ABACADA - Coda. Si apre con un semplice inciso che evoca il timbro di due corni e, nella ripetizione all’ottava alta, di clarinetti e flauti. L’elemento C del Rondò è un desolato episodio in do minore e ricorda il Larghetto del Concerto K 491. Si passa bruscamente a toni scuri e fatalisti, accentuati dai ribattuti della mano sinistra e dalle dissonanze delle appoggiature per terza della mano destra. L’elemento D ci conduce altrove, nella tonalità di la bemolle maggiore. Questa, come già detto a proposito della Sonata K 457, assume un’espressione terribilmente precaria e illusoria con l’accordatura inequabile qui utilizzata. Il ritorno del tema iniziale suonerà al contempo consolatorio e nostalgico, specie nella Coda. Nel seguente Allegretto Mozart sfoggia una notevole economia di mezzi, ma giocando molto su accentuazioni inaspettate e dissonanze tra basso e melodia. Il clima ludico permane anche nelle successive sezioni, tutte con una accentuata caratterizzazione ritmica.
La Sonata K 576 in re maggiore fu scritta nel 1789, forse come la prima di un ciclo di sei sonate commissionate dalla principessa Federica di Prussia: ciclo che non fu completato, essendo questa l’ultima Sonata per pianoforte composta da Mozart. Fu pubblicata postuma nel 1805. Nel primo movimento la scrittura è caratterizzata (come nella Sonata K 570) da una notevole economia di mezzi, e anche qui il secondo tema ripropone elementi del primo, sovrapposti in contrappunto. Il tono è però più brillante e umoristico, con numerose sorprese e inattesi sbalzi di carattere. Il movimento si apre con un tema di fanfara che disegna l’accordo di re maggiore. Subito, però, la fanfara si ferma e lascia il posto ad una serie di gruppetti alternati a pause, che danno alla frase un tono dubitativo. Il secondo tema, come nella Sonata K 570, riprende un elemento del primo (la fanfara), sovrapponendolo in canone. Lo sviluppo inizia ripetendo le ultime due battute dell’esposizione e si basa su rielaborazioni del secondo tema, del quale intensifica i procedimenti contrappuntistici. Il secondo movimento è tra i più ispirati ed enigmatici adagi mozartiani. In forma ABA, inizia con un tema in la maggiore, contraddistinto da una cantabilità rarefatta e resa ambigua dai numerosi cromatismi. La parte B, in fa diesis minore, è struggente e ricorda da vicino l’Adagio del Concerto K 488. Il “pianto” sospirante di questa sezione è alternato a lievi scale di la maggiore, che qui suonano come sorrisi tra le lacrime. Ritroveremo i “singhiozzi” di questa sezione nella straniante Coda, dove ora sono trasfigurati in la maggiore. Ne deriva un’atmosfera trasognata, dove le scale di la maggiore fare ora da irreale corollario alla incantata conclusione. Il Rondò seguente riprende in chiave brillante le appoggiature cromatiche già sentite nell’Adagio. Il carattere giocoso e leggiadro del tema iniziale ricorda le arie di Papageno nel Flauto Magico. La scrittura è concertante, con l’alternanza di “solo” e “tutti” già vista nella Sonata K 333. L’elemento B del Rondò è basato sullo stesso inciso iniziale, ma ora in contrappunto, riprendendo il procedimento usato nel secondo tema del primo movimento. Lo sviluppo tematico si articola con numerosi procedimenti canonici, spaziando in tonalità lontane ma senza mai abbandonare il tono leggero e disimpegnato.
Il Sonatensatz K 312 (K⁶ 590d) in sol minore è un frammento che risale al 1790: si tratta, dunque, dell’ultimo movimento di sonata composto da Mozart, a un anno dalla morte. La mano di Mozart si interrompe alla battuta 106, verso la fine dello sviluppo. Il manoscritto, attualmente conservato presso la Staatsbibliothek di Berlino, fu venduto dal collezionista viennese Aloys Fuchs a Felix Mendelssohn, che lo acquistò come regalo di nozze per la moglie Cecile. Nell’autografo è annotato un parziale completamento da parte di una mano ignota, che a sua volta si interrompe alla battuta 145. La prima edizione del Sonatensatz fu pubblicata postuma a Vienna nel 1805, in una versione ricostruita di 178 battute, che è rimasta fino ad oggi quella comunemente eseguita, e riportata anche nella recente Neue Mozart Ausgabe della Bärenreiter.
- - - - - - - -
Per queste incisioni ho scelto lo stesso pianoforte usato nelle precedenti sonate: il Fazioli F 278 n. 2473, accordato con il temperamento inequabile Vallotti. La sua peculiare trasparenza timbrica restituisce una nuova vitalità alla scrittura pianistica mozartiana, consentendo di caratterizzare adeguatamente la “pronuncia” di ogni articolazione indicata in partitura. La meccanica particolarmente reattiva si è rivelata ideale per l’esecuzione di trilli e abbellimenti, consentendo di ottenere una vasta gamma dinamica anche nei passaggi più rapidi.
Ho voluto rendere le indicazioni di articolazione e dinamica in modo molto radicale, rompendo con una certa tradizione interpretativa basata sulla morbidezza di fraseggio e sulla ricerca di un “bel suono” fine a se stesso. Al contrario, ho cercato dare un significato preciso e drammatico ad ogni “gesto musicale” scritto in partitura, enfatizzando i momenti di tensione drammatica anche attraverso la flessibilità agogica. Coerentemente con questa posizione, non è stata effettuata alcuna compressione del suono, lasciando quindi intatti i forti sbalzi dinamici voluti da Mozart e caratteristici di questa lettura. Anche l’uso del pedale di risonanza è stato limitato ai casi in cui ho inteso creare un “registro” ben definito, nell’intenzione di avvicinarci alla sonorità dei fortepiani sui quali Mozart ha composto queste sonate. In quest’ottica, anche il pedale “una corda” è stato regolato in modo da ottenere una maggiore differenza timbrica, così da assottigliare il suono, pur mantenendo una assoluta trasparenza anche nei pianissimi. Nel rispetto della prassi dell’epoca, i ritornelli sono spesso ornati con abbellimenti improvvisati. In alcuni momenti di sospensione prima delle riprese, ho inserito brevi cadenze estemporanee, coerentemente con gli esempi scritti dallo stesso Mozart per contesti analoghi.
Le Sonate per pianoforte di Mozart, e queste ultime sei in particolare, costituiscono un lascito imprescindibile per la nostra civiltà. La quantità e varietà degli atteggiamenti espressivi, la profondità dell’introspezione, la forza drammatica che Mozart qui raggiunge sono state per me una scoperta continua, fonte di costante arricchimento. Spero che l’entusiasmo che questa musica ha scatenato in me durante le sessioni di incisione possa arrivare anche all’ascolto, con la medesima intensità e gioia che mi ha dato nel suonarla.
Roberto Prosseda